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chef Renato Giusti

Intervista allo chef Renato Giusti

Renato giusti è un grande chef italiano di caratura internazionale.
Partito sotto la guida di Gualtiero Marchesi, ha lavorato in prestigiosi ristoranti italiani ed esteri in tutto il mondo.
Inghilterra ,Tailandia, Kazakistan,Romania, Dubai, solo per citarne alcuni.

Ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti quali:
2003, 2004, 2005: Premiato come miglior ristorante del Kazakistan.
1996: Parte della squadra insignita della *Stella Michelin
1988: Parte della squadra insignita della ***Stella Michelin

Considerando la sua riservatezza e l’amore più per la cucina che per la notorietà, è stato un vero piacere e un privilegio poterlo intervistare.

Ecco l’intervista completa prima di passare alle considerazioni finali.

Dove è nata l’ispirazione per intraprendere questa carriera e qual è stato il percorso che l’ha portata a diventare uno chef professionista?

“Non sono stato folgorato sulla via di Damasco, da ragazzino ho fatto una stagione come cameriere guardando in sala e ho visto che era comunque un lavoro interessante e mi sono iscritto alla scuola alberghiera prendendo poi il diploma. Ovviamente come specialista dei servizi di sala e management, dopo i primi cinque anni che ho speso in sala, ho capito che era poco creativo e quindi, avendo sempre guardato gli chef lavorare, ho trovato più interessante la cucina rispetto a quello che stavo facendo. Ho chiesto così ai miei genitori di pagare gli stage da Gualtiero Marchesi e da lì è cominciato tutto. E’ stata una cosa che è venuta da sola senza una particolare vocazione iniziale.”

Quale tipo di cucina fa e qual è il segreto del successo che ottiene in tutti i ristoranti in cui lavora nel mondo?

“Parto da una base di cucina ovviamente italiana, rivisitata. Applico tutte le più moderne tecnologie di cucina e di conservazione, anche sulle ricette che hanno una base tradizionale. Il segreto di quello che faccio e dei risultati che ho ottenuto sono solo due, disciplina, lavoro e ancora disciplina e lavoro, non c’è nessun segreto. Bisogna studiare, avere disciplina e applicarsi molto. Quindi pochi fronzoli e tanto lavoro. Poi se c’è il talento si ha qualcosa in più.”

Quanto conta la sala rispetto alla cucina?
“Allora questa è facile! La stessa percentuale, quindi il lavoro e il successo di un ristorante sono divisi equamente: 50 e 50 tra cucina e sala.”

Qual è stato il momento più significativo della sua carriera culinaria e come l’ha influenzata?

“E’ stata la stella Michelin nel ‘96, ero molto giovane, avevo 26 anni e ho pensato, sbagliando, di essere già in una bolla di successo da cui non si scende più. In realtà, oltre all’enorme gratificazione avuta, questa esperienza è stata per me di grande insegnamento e mi ha influenzato per tutto ciò che ho fatto in seguito. Ha avuto un grande impatto su di me ed è stato il momento migliore della mia vita per quei risultati raggiunti per la prima volta, sebbene poi a livello finanziario ho avuto risultati nettamente superiori negli anni successivi. “

Il ristorante in Kazakistan che dirigeva è stato insignito come il miglior ristorante di tutto il Kazakistan. Un riconoscimento importante che solo i migliori chef al mondo possono ottenere.
Quale caratteristica personale ha avuto maggior peso per questo grande successo? Più il talento in cucina o le qualità di leadership?

“Riguardo il progetto in Kazakistan mi riconosco la grande dote della perseveranza, perché ti trovi in un mondo sconosciuto, con mentalità sconosciute, con difficoltà a reperire i prodotti che ti servono, quindi te li devi andare a cercare, te li devi a volte far spedire. E’ stata una cosa molto difficile per l’epoca. Il talento ci deve essere, quindi se uno non ha talento forse non raggiunge certi risultati. E poi anche la leadership ha avuto il suo peso, perché bisogna essere comprensivi e non bisogna urlare con la gente anche se ti trovi con cuochi che non hanno molte abilità. Ok, in quel periodo il personale era abituato a lavorare con il metodo sovietico. Quindi tutti impostati alla stessa maniera, tutti che pensavano alla stessa maniera e quindi la cosa più difficile per me è stata quella di aprire le loro menti, di far capire ad ognuno di loro di andare oltre a tutto quello che fino ad allora gli avevano insegnato e che avevano imparato fino a quel momento. Ecco perché, anche in questo caso, parlo di perseveranza. Vuol dire tanto non sentirsi mai persi anche quando ci si sente persi, se si riesce a capirne il concetto.”

Lei è stato pluripremiato nella sua carriera, ha contribuito a ricevere stelle Michelin, ha ricevuto numerosi premi in tutto il mondo, ciononostante non la vediamo in televisione come altri noti chef famosi? Come mai?
“E’ proprio una questione di carattere, me lo hanno già chiesto diverse volte in passato. Non voler apparire è una cosa caratteriale, avrei potuto farlo ma c’è chi, come me, intende ancora questa professione solo con il lavoro di cucina, senza necessariamente dover apparire sui giornali o un TV o da qualche altra parte.”

Quale tipo di cucina fa e qual è il segreto del successo che ottiene in tutti i ristoranti in cui lavora nel mondo?
“Le esperienze che ho fatto nel mondo mi hanno portato a fare una cucina che definirei fusion, creativa, raffinata, arricchita da influenze di varie parti del globo. Poi naturalmente mi adatto al luogo in cui vado a lavorare. Non c’è uno standard. E’ chiaro che se cucino in un porto di mare, non faccio il brasato, gli stracotti o la lepre in salmì così come se lavoro in pianura sono più tentato ad espandere la cucina sia con piatti di carne che di pesce e allo stesso modo se vado sul Monte Bianco cerco di non fare una cucina leggera di mare.”

Quali consigli darebbe a chiunque voglia intraprendere una carriera culinaria di successo?

“Non ci sono segreti. Fare silenzio e imparare tutto quello che si può. Più informazioni si riescono ad apprendere e più e più si impara. Io sono stato agevolato perché, come ho detto, ho imparato con Gualtiero Marchesi e quindi ero già avanti di 20 anni rispetto agli altri. Però quando sono partito, lavorando in sala, stavo zitto e guardavo tutto quello che facevano i più grandi. Come si muovevano, come servivano e allo stesso modo chi vuole imparare deve fare in cucina. Chi ha 14 anni, mentre pela le patate, deve avere uno scanner negli occhi che a 360 gradi memorizza tutto quello che gli succede attorno.
Sì, non si diventa grandi chef per grazia ricevuta, dietro un grande chef c’è un lavoro enorme. “

Come vede l’evoluzione della cucina nel prossimo decennio?

“L’evoluzione della cucina è già sotto i nostri occhi. E’ un continuo studio, io personalmente ho già messo in pratica cucine prettamente vegetali, cucine sostenibili, cucine a rifiuto zero, eco-friendly, green. Personalmente è già quasi una decina di anni che vado in questa direzione. Si risparmiano moltissimi soldi e questa è una delle cose che mi caratterizzano. Si utilizzano ormai queste accortezze, soprattutto in merito al risparmio, al rifiuto Zero. Molti altri grandi chef si sono accorti e avvicinati a queste modalità.
Mentre prima buttavano via mezza patata perché dovevano fare la pallina di patata, la quenelle o la patatina e gettavano il superfluo, oggi invece si tende a riutilizzare tutto. E’ così che si deve fare.”

L’intervista offre una panoramica approfondita sulla carriera e la filosofia culinaria di Renato Giusti, evidenziando il suo impegno, la sua passione e la sua dedizione al lavoro in cucina. Le risposte forniscono una visione chiara dei fattori che contribuiscono al successo in cucina, tra cui l’apprendimento costante, il talento, la leadership e la perseveranza. Inoltre, le riflessioni sull’evoluzione della cucina verso la sostenibilità e il risparmio indicano una consapevolezza delle sfide e delle opportunità future nel settore culinario. Nel complesso, l’intervista fornisce una preziosa finestra sulla mente e l’esperienza di uno chef di successo nel mondo della cucina internazionale.